Dourados, forgotten land, guarani people, mato grosso do sul

Enforcada (Dourados)

Una casa di legno e cartone, un piccolo gazebo rivestito di erba secca, tanta gente, tanti bambini. Tutto attorno i carri coi cavalli spennati. Sotto al gazebo, la bambina: 12 anni e una cassa di legno un pò stretta. Poca gente attorno a lei, un piccolo stereo, un amplificatore: musica certanesa, country brasiliano con accento spagnolo. Musica di chiesa, troppo dolce e troppo triste. La madre e il padre, due occhi in due, gli altri andati per il tanto alcol. Quell’odore di polvere che ti fracassa la gola. La madre mi invita a guardarla, alza il velo, un fazzoletto di cotone tutto sporco. Il volto enorme, un rivolo di sangue dal naso. Il corpo gonfio e rigido, le palpebre nere. Tante mosche, una coperta giallognola. Un tavolino incerto a sorreggere la cassa, con qualche foglio di giornale sopra. La macchina fotografica nello zaino. Chiedo se è il caso: no, non è. Però sento che devo, vai, prendila di nascosto. Come puoi pensare ciò, Andrea. Dove è il rispetto? E il lavoro? Non puoi farlo di nascosto. Ma devi; non puoi. Non lo faccio. Il padre prende il microfono, ringrazia dio e comincia una preghiera. Tante donne con una mano sul volto in lacrime, l’altro braccio teso. Una litania di suoni e parole, piangendo a voce alta. I vecchi zoppicanti col cappello in mano, stanchi. La sorellina più piccola porge alla madre una caramella caduta a terra: lei la prende in braccio, la guarda con l’occhio andato, la allatta un pò. Il seno avvizzito, mentre la polvere ingoia tutto. Un odore nuovo: la morte. Di 12 anni, una corda ed un albero. Enforcada. Forse un amore con un uomo sposato, le botte dei genitori per quel ragazzo nove anni più grande. Il silenzio e le ubriacature. Sempre quella musica, che canta di fiumi e di gente unita: “il rio grande ci ha visti innamorati e felici”. Odore di bruciato. Lo strazio. Una ciocca di capelli viene portata via. Cani e gatti denutriti presi a calci, per gioco.
Chiudo gli occhi per vedere se ci sono un pò di lacrime. Per sentire il fondo della tristezza. Per vedere quella non-faccia trasformarsi in una faccia nota. Niente lacrime. Non capisco, non so nulla, non trovo nessun perché. Solo la sensazione che il corpo stia fluttuando lontano da me, e una certa mancanza del mio mondo, quello protetto, quello fortunato.

 

p.s.
E’ un post che ho scritto nel 2006 quando insegnavo fotografia nella riserva Guaranì di Dourados, nel Brasile del Sud. L’intera serie fotografica è qui:
http://www.andrearuggeri.it/portfolio/archive-reportage/dourados-guarani-land/

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